Mito e liturgia nella scultura

E’ uscito Antarès n.20: DissacrArte uno speciale monografico di 200 pagine dedicato alla nuova avanguardia e alla ricerca del sacro nell’arte contemporanea con interventi di alcuni dei più raffinati pittori italiani oltre che di importanti intellettuali e filosofi.

Tra questi è presente una mia intervista.

Scultore, insegnante, decorato pontificio – anche – grazie alla creazione di alcune statue liturgiche raffiguranti gli Apostoli (progetto Eroi della Fede) donate alla chiesa cattolica srilankese colpita nel 2019 da attentati di matrice islamista, Cesare Monaco (1964), Si forma all’ Accademia di Belle Arti di Firenze, dedica la propria produzione artistica soprattutto ai temi della mitologia classica e delle figure paradigmatiche del Cattolicesimo.

Qual è il rapporto tra il Sacro e l’arte nel Postmoderno?

È un legame spesso distorto, basato soprattutto su una desacralizzazione che vuole portare allo stupore, scandalizzare per cercare visibilità e monetizzare a tutti i costi. Il problema più grave è che, in molti “artisti” postmoderni, spesso manca un messaggio da comunicare. L’arte ha soprattutto una finalità sociale, collettiva: il Sacro è cruciale anche in questo perché crea unità, attraendo verso l’alto punti di vista differenti.

La finalità dell’arte è quindi soprattutto comunicativa?

Certamente. Fondamentale è, in questo, comprendere la dignità dei luoghi in cui ci si muove e il tipo di comunicazione che in essi può e non può avvenire attraverso le opere. In Occidente, purtroppo, siamo ormai abituati a ogni genere di nefandezza: luoghi sacri profanati per qualche visualizzazione in più, reimpiegati per mere finalità commerciali. Oggi, purtroppo, poche persone capiscono e rispettano il Sacro. Oltre a questo, c’è un problema di canone, di linguaggio, tutti aspetti che non vengono presi in considerazione. Non solo perché pochi ormai li comprendono, ma perché quasi nessuno li studia e valorizza. Un’opera d’arte dev’essere indagata e capita da chi ne fruisce: un linguaggio unicamente intimista non può generare arte. Un’ulteriore differenza rispetto al passato riguarda la committenza esperta e colta, che quasi non esiste più: l’arte è, ormai, vista in genere come “bene rifugio”, non come una via sacra in grado di innalzare oltre il mero aspetto materiale.

Giano bifronte, scultura in bronzo patinato, 85 x 55 x 28 cm, 1994/95

Cos’è, dunque, il Sacro?

È il motore invisibile della realtà e dell’agire umano. Un aspetto che supera la questione religiosa, perché va oltre tempi e luoghi: è eterno e infinito. Si pensi, concretamente, ai manufatti preistorici: spesso hanno una sacralità e una potenza percepite da ogni individuo sensibile, a prescindere dalle sue coordinate etniche e religiose.

Che legame c’è tra la sua produzione scultorea e il Sacro?

Un legame narrativo, che mi ha spinto a fare arte. Mi sono sempre posto due domande: cosa voglio raccontare, e perché? È per me cruciale narrare quanto sia importante l’esperienza spirituale per l’uomo. Egli, infatti, non è una mera bestia, come i nostri tempi vorrebbero farci credere, ma una creatura spirituale: quando ha tra le mani un oggetto millenario, sente la potenza che gli trasmette, la sua energia, riesce a percepire l’amore del suo simile che l’ha ideato, guidato da un’intuizione superiore. Anche questo rientra nel dominio del Sacro. Siamo immersi nella Storia, ma quasi del tutto anestetizzati a livello sovrasensibile, perché nessuno ci spiega davvero, soprattutto sul piano simbolico, cosa succede attorno a noi. Ciò che più mi rattrista è l’animalizzazione dell’uomo: nel pieno dominio della tecnica, l’essere umano rischia di perdere la propria scintilla originaria, cioè il Sacro.

Qual è la necessità suprema, nella sua scultura?

Un deciso ritorno all’ordine, all’armonia tra forma e contenuto, a un sereno realismo, come proposto dal “filosofo contadino” Gustave Thibon, ancora poco noto in Italia. È un francese autodidatta vissuto in uno dei periodi più difficili per il suo Paese, il Novecento, e molto amico di Simone Weil, che gli affiderà i suoi scritti. Un ateo, figlio di socialisti, che si convertì al cattolicesimo e andò oltre l’alienazione razionalistica del “secolo breve”.

Giano bifronte, scultura in gesso patinato, 85 x 55 x 28 cm, 1994/95

A che opere sta lavorando?

Sto modellando teste ritraenti figure femminili per me significative: Medea, Ofelia, Beatrice. Questo nell’intento di ridare centralità e dignità alla donna, troppo spesso raccontata in modo banale, offensivo e “politicamente corretto”. Ho scelto queste tre figure perché le personalità di spessore fanno la differenza (nel bene o, purtroppo, anche nel male) indipendentemente dal genere: in famiglia, nella società, nella Storia o nell’eternità della letteratura.

Medea, Ofelia, Beatrice: un’indagine legata all’archetipo femminile, quindi…

Esatto: voglio superare i veli esteriori e trovare il nucleo originario, la potenza sacrale di questi personaggi, anche se in due casi tragici. Riguardo a Medea, m’interessa l’indagine psicologica: perché arriva a uccidere i propri figli? Il suo sguardo atroce, i denti appena scoperti, suscitano interrogativi: è l’indagine di un linguaggio interiore che non siamo in grado di comprendere facilmente. Chi può entrare nella mente di una madre che uccide il proprio figlio? Bisogna avvicinarsi con rispetto alla tragicità di un simile evento: il mito di Medea lo permette, nel mio caso attraverso la scultura.

Che importanza ha per lei l’arte liturgica?

È fondamentale, più che mai nel Postmoderno. Insegna umiltà, poiché per creare questo tipo di arte bisogna seguire canoni ben definiti, che rispettino regole secolari. Anche in questo caso, non è possibile adottare un eccessivo intimismo: è necessario che la narrazione sacra si percepisca attraverso un simbolismo invalso, anche se usato in modo personale. È il caso, per esempio, delle statue dei Santi Apostoli che ho creato per la comunità cattolica srilankese. Questo discorso, però, vale per ogni espressione visuale del Sacro: da sempre ogni tradizione religiosa ha i propri dogmi, anche artistici, da difendere. L’uomo preistorico che si metteva intorno al fuoco a scheggiare le pietre con i propri simili non avrà parlato con i suoi figli, spiegando loro l’origine delle cose? Non avrà raccontato storie straordinarie? Non avrà creato i miti, mosso da un innato senso del sovrannaturale? Lo scultore fa la stessa cosa. Deve però avere ben presente la linea da seguire: è necessario che egli semini nel solco, lasciandosi guidare con umiltà dalle intuizioni, se intende suscitare un novello Tagete che dischiuda al Sacro la società contemporanea.